I reperti, i documenti storici, i miti, dimostrano che buona parte di questa cultura, incentrata sul culto della Dea Madre, ha permeato la Grecia, l’Etruria e gran parte dell’Europa. L'America latina e i Nativi del nord, l'Africa, l'Oceania e l'India.
I reperti archeologici rappresentano la fonte per svelare la spiritualità e la cultura dei nostri antenati che precedettero gli indoeuropei di varie migliaia di anni. Le credenze delle popolazioni agricole riguardo la fertilità e la sterilità, il periodico bisogno di rinnovare i processi generativi della natura, sono tra le più presenti e durature.
Gli aspetti principali della religione del Neolitico si articolano intorno al concetto di Dea Madre, di divinità dell’abbondanza e della siccità, del positivo e del negativo, del maschile e del femminile, e più ampiamente di tutti i processi naturali.
Il tema centrale del simbolismo di questa Dea si dispiega nei misteri della nascita e della morte e nel rinnovamento della vita, non solo umana ma di tutto il cosmo. Simboli e immagini si raggruppano intorno alla Dea che si autogenera, ed è quindi definita partenogenetica, ed alle sue fondamentali funzioni di dispensatrice di vita, reggitrice di morte e rigeneratrice. Madre Terra, giovane e vecchia, nei suoi vari aspetti, dea della fertilità che garantisce la vita e la morte della vita vegetale e naturale, in questo sistema il tempo si configura come ciclico e non lineare.
L’arte incentrata sulla Dea, inoltre, con la sua singolare assenza di immagini guerresche e di dominio maschile, riflette un ordine sociale in cui le donne, come guide dei clan o sacerdotesse, svolgevano un ruolo fondamentale. L’antica Europa, il Medio-Oriente, l’Anatolia, Creta minoica possono essere definite società gilaniche cioè sistemi sociali equilibrati tra la componente maschile e quella femminile. Ciò viene confermato dallo studio della religione, della mitologia, del folklore, della struttura sociale di queste civiltà, di cui una continuità negli elementi formativi è anche riscontrabile nei successivi sistemi matrilineari nella Grecia minoica, in Etruria, nei Paesi Baschi in Irlanda e Scozia e in altri paesi europei, non solo in epoca preistorica, ma fino ai primi secoli dell’epoca definita storica.
La religione delle nostre antenate e antenati ci rivela la loro attenzione al mistero della vita e della morte, in un gran numero di rituali e di miti, intesi a sottolineare l’aspetto di rinascita e ciclicità anche nella morte; in essi ritroviamo l’associazione tra il femmineo e le forze che donano la vita. Sembra che il punto centrale fosse il legame della donna col potere di donare e sostenere la vita, ma nello stesso tempo anche la resurrezione.
La fase seguente, quella degli dei guerrieri, pastorali e patriarcali che, soppiantarono, o assimilarono, questa tradizione precedente, rappresentò una fase intermedia, prima dell’era cristiana. Il risultato dello scontro tra le forme religiose dell’antica Europa e quelle straniere, indoeuropee, si vede nella detronizzazione delle antiche Dee europee, nella scomparsa di templi, suppellettili del culto e segni sacri, nella drastica riduzione delle immagini religiose nelle arti visive.
L’impoverimento cominciò nell’Europa centro-orientale ed interessò gradualmente tutta l’Europa centrale. Le isole egee, Creta e le regioni del Mediterraneo centrale e occidentale conservarono le antiche tradizioni europee ancora per alcuni millenni. Questa trasformazione, tuttavia, non fu una sostituzione di una cultura da parte di un’altra, ma una graduale ibridazione di due diversi sistemi simbolici. Alcune antiche tradizioni, in particolar modo quelle connesse con i rituali di nascita, morte e fertilità della terra, si sono protratte fino a oggi senza grandi cambiamenti, in alcune regioni; in altre furono assimilate dall’ideologia indoeuropea.
Dal V millennio a.C., si cominciano a trovare testimonianze di quello che Mellaart definisce un modello di disgregamento delle antiche culture neolitiche. I resti archeologici, a partire da quest’epoca, indicano chiari segni di pressione in molti territori, ci sono tracce di invasioni da parte di tribù di pastori guerrieri, di catastrofi naturali, a volte di entrambi, che causano distruzione e disordini su larga scala. S’instaura gradualmente un periodo di regressione e stagnazione culturale, durante questo periodo di caos crescente, lo sviluppo della civiltà giunge a un punto morto; ci vorranno altri duemila anni prima che la civiltà sumera ed egizia facciano la loro comparsa.
Anche nell’Antica Europa l’interruzione fisica e culturale delle società neolitiche che adoravano la Dea comincia nel I millennio a.C., con quelle che la Gimbutas definisce ondate migratorie di popoli Kurgan pastori delle steppe.
Queste incursioni ripetute, gli shock culturali, i mutamenti della popolazione, le catastrofi naturali, si concentrarono in tre spinte, 4300-4200 a.C., 3400-3200 a.C.; 3000-2800 a.c.
I Kurgan appartengono al ceppo linguistico che gli studiosi definiscono indoeuropeo o ariano, un tipo che in epoca moderna sarà idealizzato, da Nietzsche e da Hitler, come l’unica razza pura d’Europa. In realtà essi non erano autenticamente europei, poiché si riversarono in questo continente provenendo dal Nord-est asiatico ed europeo. Né erano autenticamente indiani, poiché in India vivevano i Dravidi e gli Ariani. Ma il termine indoeuropeo è rimasto, esso indica una lunga serie di invasioni di popolazioni nomadi provenienti dal nord dell’Asia e dell’Europa. Essi erano governati da potenti sacerdoti e guerrieri, portavano con sé i propri dei della guerra e delle montagne.
Gli Ariani in India, Ittiti e Mitanni nella Mezzaluna Fertile, Luvi in Anatolia, Kurgan in Europa, Achei e Dori in Grecia, imposero le loro ideologie e i loro stili di vita sulle terre e i popoli che avevano conquistato. La caratteristica comune era un modello dominatore dell’organizzazione sociale, un sistema sociale basato sul dominio maschile, sulla violenza, sulla gerarchia, sull’autorità, sulla tecnologia finalizzata all’arricchimento e sull’accumulo da parte dei più forti e alla distruzione dei sottomessi.
Sembra che la metallurgia del bronzo e del rame abbiano radicalmente cambiato il corso dell’evoluzione culturale in Europa e Asia minore, ma ciò che determinò questi mutamenti radicali non fu la scoperta di quei metalli, ma l’uso che ne venne fatto.
Secondo il paradigma prevalente, tutte le importanti scoperte tecnologiche debbono essere state fatte dall’uomo cacciatore o guerriero per migliorare la propria efficienza letale; perciò si è supposto che i metalli fossero usati innanzitutto e soprattutto per le armi. Tuttavia, le testimonianze archeo-logiche ci hanno dimostrato che il rame e l’oro erano già usati nel Neolitico per scopi religiosi, artistici ed anche pratici, come utensili.
Le tecnologie distruttive non erano priorità sociali per i coltivatori del Neolitico europeo, ma lo erano per le orde guerriere che li invasero, e fu in questo momento critico che i metalli svolsero il loro ruolo letale nel determinare la storia dell’umanità, non come mezzi per un generale progresso tecnologico, ma come armi per uccidere, saccheggiare, asservire.
Sembra indiscutibile che la guerra sia stata uno strumento essenziale per sostituire il modello mutuale con quello dominatore. Gli isolati periferici, cioè i popoli di pastori che vivevano nelle zone più impervie del globo, steppe e deserti, erano organizzati secondo valori sociali differenti.
Essi interruppero un lungo periodo di sviluppo costante guidato da un modello mutuale, e portarono con sé un sistema di organizzazione sociale totalmente diverso.
Alla base di ciò c’era il valore del potere che toglie la vita, invece di quello che la dà. Il potere simboleggiato dalla spada maschile che, come mostrano le incisioni nelle prime caverne Kurgan, essi adoravano, in una società governata da dei e uomini guerrieri, dove questo era il potere supremo.
Con la comparsa di questi popoli, e non come si dice talvolta, con la scoperta da parte dei maschi del proprio ruolo nella procreazione, la Dea e le Donne vennero ridotte al ruolo di consorti, concubine, schiave dell’uomo.
Gradualmente il dominio maschile, l’aggressività e l’asservimento delle donne, e degli uomini più miti, divennero la norma.
Le rappresentazioni di armi, incise su roccia, stele e pietre, che cominciano ad apparire soltanto dopo le invasioni Kurgan, le prime immagini che si conoscevano di dei-guerrieri indoeuropei, sono immagini astratte, in cui il dio viene rappresentato esclusivamente tramite le sue armi, o insieme alle armi, ai gioielli, all’animale divino cioè un cavallo o un cervo maschio, oppure alle corna, o da un sole al posto della testa, o da asce e alabarde al posto delle braccia.
Questa serie di immagini formano un corpus di concetti astratti e non più basati sulla natura. Le armi rappresentavano i poteri e le funzioni del dio e venivano adorate come rappresentazioni del dio stesso; la sacralità dell’arma è ben evidenziata in tutte le religioni indoeuropee. Questa idealizzazione dell’arma era accompagnata da un modo di vita che contemplava l’uccisione sistematica di altri esseri umani, la distruzione e il saccheggio dei loro averi e l’asservimento e lo sfruttamento delle loro persone.
Ci furono innovazioni radicali nelle pratiche di sepoltura e nella pianificazione degli insediamenti. Cominciano ad apparire abitazioni più sontuose, a differenza di altre più povere; le tombe dei capi dove venivano uccisi e sepolti insieme al capo, nel momento della sua morte, tutta la famiglia e i servitori, le sue ricchezze; le mura e le fortificazioni e le acropoli o i forti su collina sostituirono i vecchi insediamenti privi di mura. Le conquiste armate non solo troncarono l’evoluzione delle prime società, ma le trasformarono, ci fu una distruzione di case, templi, opere d’arte e manufatti, oltre che massacri.
Come risultato si avviarono reazioni a catena di mutamenti di popolazione. Iniziarono a crearsi le culture ibride, basate sulla sottomissione dei rimanenti gruppi e sulla loro rapida assimilazione all’economia pastorale, gerarchica, patrilineare.
Si verificò una devastazione fisica e un impoverimento culturale; le costruzioni simboliche che sostengono e rappresentano le strutture sociali imperniarono i loro valori sulla legge del più forte e sulla struttura gerarchica, attraverso una strategia di annientamento e di assorbimento ideologico o cooptazione dei simboli, ossia all’appropriazione da parte dei dominatori della simbologia dei dominati, loro completo ribaltamento o adattamento alle nuove concezioni dominanti.
[- dal web -]